In Svizzera, grazie agli esami di diagnosi precoce come il Pap-test, il cancro del collo dell’utero ha perso molto dell’alone di terrore mortale che lo circondava. Ma nei Paesi a basso reddito la maggior parte delle donne non può permettersi questi esami, soprattutto le donne HIV positive dell’Africa meridionale, che a causa del loro sistema immunitario indebolito hanno un rischio sette volte maggiore di essere colpite da questa forma di cancro.
«Molte di queste donne hanno tra i trenta e i quaranta anni e sono loro a mantenere la famiglia», spiega Katayoun Taghavi. Sotto la direzione di Julia Bohlius dell’Istituto di medicina sociale e preventiva dell’Università di Berna, Taghavi esegue un progetto in Zambia promosso dalla fondazione Ricerca svizzera contro il cancro volto a migliorare la diagnosi precoce del cancro del collo dell’utero e salvare la vita a queste donne impedendo lo sviluppo della malattia invasiva.
Il team di Bohlius lavora già da molto tempo nel campo della lotta all’AIDS con il personale medico ed infermieristico della clinica Chelstone nella capitale zambiana di Lusaka. Questa partnership di ricerca ha dato alla luce un nuovo studio in cui 250 pazienti infettate dal virus HIV vengono sottoposte a diversi metodi di diagnosi precoce. Oltre al metodo convenzionale, ovvero l’ispezione visiva del collo dell’utero dopo l’applicazione di acido acetico che colora le lesioni di bianco, ma rileva soltanto circa la metà dei precursori del cancro, è previsto l’impiego anche di un nuovo colposcopio portatile, che consente di acquisire immagini ingrandite degli eventuali reperti.
Queste immagini non soltanto possono essere analizzate e discusse in tutto il mondo davanti a uno schermo, ma aiutano anche a mostrare alle donne malate cosa sono i precursori del cancro. «Speriamo così di abbattere le paure di molte donne e di spingerle a convincere le loro amiche e vicine a sottoporsi all'esame», spiega Taghavi.
Riferimento del progetto: KFS-4156-02-2017